Come finirà la guerra? Non c'è risposta, ma il futuro non è già determinato


Chi di noi non soffre per il corto circuito razionale ed emotivo generato dall’aggressione predatrice della Russia sull’Ucraina, dalla commovente difesa della propria libertà del popolo aggredito, dalla sconvolgente e inumana azione terroristica di Hamas contro Israele, dalla conseguente e durissima risposta militare di Tel Aviv nei territori palestinesi?

In tanti abbiamo portato le nostre inquietudini venerdì scorso all’Abbazia di San Paolo d’Argon (Bg) dove si è tenuto un incontro intitolato: “È possibile la pace in un mondo in frantumi?”.


Non una domanda tanto per dire, intendiamoci, ma una questione vera che a tratti toglie il respiro, uno spunto per confrontarsi nella prospettiva del sottotitolo della serata: “Desiderio di pace e fraternità alla prova della speranza”.

Si è trattato dell’ultimo appuntamento del Festival delle relazioni giunto quest’anno alla sesta edizione. A dialogare sul tema c'erano l’ambasciatore Pasquale Ferrara (a sinistra nella foto), direttore generale per gli affari politici e di sicurezza presso il Ministero degli Esteri, e Filippo Pizzolato, docente di Istituzioni di diritto pubblico all’Università di Padova.

Ne è uscita una serata su cui riflettere, da ricordare, da rivedere; un’ora e mezza di “pensieri pensati” e stimoli per uscire dai luoghi comuni.










Ne ha dato conto anche L’Eco di Bergamo con un articolo di Giulio Brotti intitolato “La pace possibile, nella fraternità”



[...] Pasquale Ferrara ha contestato l’idea per cui «la guerra costituirebbe un fenomeno fisiologico che da sempre e costantemente avrebbe caratterizzato la storia umana. Noi siamo particolarmente impressionati dai casi di conflitti armati proprio perché questi costituiscono una cesura, un’interruzione violenta di una condizione di normalità in cui i rapporti tra i popoli so- no basati, se non proprio sulla solidarietà vicendevole, perlomeno sulla convivenza paci- fica».


Rispetto a un approccio che si vorrebbe «realista» alla politica internazionale («Se vuoi la pace, preparati alla guerra»), l’ambasciatore Ferrara ha ricordato come «le politiche di riarmo spesso non abbiano evitato bensì favorito lo scoppio di nuovi conflitti. Se l’atteggiamento “realista” finisce col costituire un alibi per il mantenimento dello status quo, noi oggi siamo chiamati invece a uno sforzo di immaginazione politica, sostenuto dalla constatazione che il mondo in cui viviamo è in rapido cambiamento e che il futuro non è già determinato».

Anche Filippo Pizzolato, nel suo intervento, è partito dalla questione se la pace possa essere assicurata «semplicemente tramite la forza, o mediante un equilibrio delle forze in campo. […] Il principio di fraternità, secondo il docente, può aiutarci oggi a ripensare in un’ottica «non antagonistica» anche le relazioni internazionali: «La relazione di fraternità – ha detto venerdì sera – non è elettiva, non dipende da una nostra libera scelta. D’altra parte, chiede di essere riconosciuta, come condizione di comune fragilità di tutti noi, condizione per cui ognuno è tenuto a esercitare un atteggiamento di cura nei riguardi degli altri».

Nel dibattito che è seguito agli interventi di Ferrara e Pizzolato, ha preso la parola anche l’onorevole Gilberto Bonalumi, esprimendo il proprio apprezzamento per i contributi dei relatori: «Una volta – ha raccontato –, Aldo Moro disse a un giornalista che “il profeta ha il compito di proclamare la verità, il politico ha quello di applicarla”. Pure per quanto riguarda la parola“pace”, si tratta di dare concretezza a questo termine, comprendendone tutte le sfaccettature e implicazioni, a livello culturale e politico». [...]