Lavoro giusto, economia ed etica: la riflessione teorica e la quotidianità dell'impresa. Un convegno fuori dal comune!

 

Ci sono persone che hanno un dono straordinario: sanno avvicinare chiunque a temi e questioni complesse. Lo fanno grazie ad una competenza indiscussa coniugata con un interesse autentico per gli interlocutori che si trovano ad incontrare. Lo fanno senza far pesare titoli, con semplicità, con passione e la leggerezza necessaria per trasformare l’attenzione in partecipazione. 

Stefano Zamagni è una di queste persone. Economista di fama internazionale ha accettato con entusiasmo l’invito delle comunità di Bergamo e di Brescia del Movimento dei Focolari a partecipare ad un convegno promosso nell’ambito delle iniziative che il Movimento ha pensato per offrire un contributo di riflessione e di crescita in occasione dell’anno della Capitale della cultura. 


Qui di seguito ne proponiamo la cronaca attraverso l’ampio articolo dedicato all’iniziativa dal quotidiano L’Eco di Bergamo. 




 «Tornare alle origini per massimizzare il bene comune» 

 Zamagni al convegno del Movimento Focolari Il grande errore della separazione fra economia ed etica La necessità di un lavoro giusto e al tempo stesso decente 

 Se l’insostenibilità del modello economico a livello globale è un’idea nota, non altrettanto si può dire dei progetti alternativi e controcorrente rispetto alle scuole di pensiero dominanti: poco considerati, scarsamente insegnati nelle Università, guardati con sufficienza in certi ambienti accademici.

A mettere le cose in chiaro, com’è nel suo stile diretto ed empatico, è un applaudito Stefano Zamagni, il principale teorico italiano dell’economia civile, intervenuto ieri in remoto dalla sua casa di Bologna all’affollato convegno «Fare economia-Far contare le persone» del Movimento dei Focolari, al Teatro alle Grazie, nel quadro delle iniziative di Bergamo Brescia Capitale della Cultura. 

Presentato da Giuliana Zubani Bertagna, del coordinamento regionale di Economia di comunione, e moderato da Silvana Galizzi, vice caporedattore de «L’Eco di Bergamo», all’incontro hanno partecipato, da Brescia, un gruppo di studenti dell’Istituto Golgi che stanno facendo una ricerca sul progetto Economy of Francesco, e due imprenditori che hanno illustrato le loro esperienze concrete: Rebeca Gómez, amministratore delegato del Polo Lionello Bonfanti di Loppiano (Firenze), e Giancarlo Turati, a.d. di Fasternet e vice presidente dell'Associazione Piccola Industria di Brescia. 


Nuovi aggettivi per una nuova economia


Il dibattito s’è svolto nella triangolazione e sinergie concettuali fra tre ambiti: l’economia di comunione, lanciata dalla fondatrice del Movimento dei Focolari, Chiara Lubich, nel 1991 in Brasile, l’economia civile e l’Economia di Francesco (il riferimento è a San Francesco d’Assisi) lanciata da Papa Bergoglio nel maggio 2019. Un compito svolto soprattutto dall’economista bolognese che, nello smontare un paio di luoghi comuni, è andato alle origini e alla continuità di un’economia di matrice cattolica, nata peraltro in Italia, e che si fonda sulla dignità della persona e sul bene comune. 

Primo punto: stiamo ancora scontando le conseguenze della «grande separazione» fra economia ed etica, proclamata nel 1829, quando la rivoluzione industriale inglese era già a regime, da un cattedratico di Oxford e vescovo anglicano e da allora divenuta senso comune. Grave errore ritenere l’economia qualcosa di oggettivo e neutrale, a sé rispetto all’etica, spiega Zamagni: «La dico con una battuta: dal lunedì al venerdì uno si dedica a massimizzare il bene totale, cioè profitto e utilità, mentre a fine settimana si ricorda di avere una coscienza e così si dedica alla filantropia». 


Fare il bene è bene, ma voler fare il bene è meglio


Il lavoro, chiarisce, deve essere giusto e pure decente: il dipendente deve poter realizzare il proprio potenziale. «Fare le cose bene stando bene, essere parte di un progetto della comunità aziendale», chiarisce l’imprenditore Turati nella cui azienda è in corso d’opera una Carta valori. «Fare il bene è bene, ma voler fare il bene è meglio», insiste Zamagni, spiegando il paradigma dell’economia civile che dà sostegno culturale all’economia di comunione. Qualcosa di reale, altro che astrattezza, che coglie un nervo scoperto e attuale: proprio recentemente l’Istat ha documentato che l’anno scorso un milione e 600 mila lavoratori con contratti a tempo indeterminato hanno lasciato, perché trovavano la loro occupazione indecente: «Ci soffocava e ci sentivamo non valorizzati». 


Il segreto sta nella fiducia


L’assunto, in contrasto con la scuola anglosassone, è pensare che l’altro sia un amico e non un lupo famelico: il professore usa spesso il termine «amore», inteso come relazione di fiducia, inusuale nella teoria corrente. Nella pratica vuol dire, ad esempio, abbandonare la logica degli incentivi, strumento che comunica una mancanza di fiducia verso il dipendente, e puntare invece sui premi: il riconoscimento di un’azione compiuta.

Significa anche, come da dettato della nostra Costituzione, arrivare alla partecipazione dei lavoratori non agli utili dell’azienda ma ai processi decisionali: capitale e lavoro sono entrambi essenziali. Il bipolarismo Stato-mercato deve diventare un gioco a tre con l’ingresso della comunità. Poi bisogna abbandonare definitivamente il modello organizzativo del taylorismo alla base dello sviluppo industriale (catena di montaggio e non solo) del ’900: un modello che considera «bovini» gli operai, chiamati solo ad eseguire e a non pensare.


L'intuizione francescana rilanciata dal Papa


La grande cornice che contempla ed allarga questo filone antropologico è l’Economia di Francesco, il progetto di una nuova economia al servizio dell’uomo, al quale stanno lavorando i giovani di 102 Paesi. Le radici sono antiche, perché l’economia di mercato civile è una creazione francescana, il concetto di imprenditorialità è nato da noi, mentre l’economia di mercato capitalistica giungerà tre secoli dopo: «L’idea è tornare alle origini, massimizzare il bene comune e non totale. 

Quello di Papa Bergoglio è il progetto culturalmente più avanzato a livello internazionale, ma il maggiore ostacolo è che queste cose non vengono dette». Simili approcci fanno bene pure al mondo produttivo come testimonia l’evidenza empirica. Lo stesso scetticismo iniziale di taluni studiosi s’è tramutato in un loro ripensamento autocritico. Se quattro anni fa Papa Francesco diceva che «questa economia uccide», oggi anche un nome illustre come il Nobel Augus Deaton parla dei «morti per disperazione». 

In un mondo dalle scandalose disuguaglianze e con un neocolonialismo che schiavizza tuttora 40 milioni di essere umani, bisogna rivedere le organizzazioni internazionali (Fondo monetario, Banca mondiale, Wto) nate nel dopoguerra e in funzione occidentale. Anche l’ordine geopolitico non può più fondarsi sull’unilateralismo (America), bensì sul multilateralismo. Stop alla crescita infinita, dedichiamoci piuttosto allo sviluppo che vuol dire aumentare gli spazi di libertà. Il messaggio umanistico di Zamagni è esplicito: ricominciamo dalla tradizione di un pensiero economico nato nel magistero cattolico, riappropriandoci di parole chiave come reciprocità, fraternità, pubblica felicità. 

 Franco Cattaneo
da L'Eco di Bergamo di domenica 16 aprile 2023