“Provate a chiedervi: perché non noi? Vendere casa per abitare la vita di chi ha più bisogno

 

Diego (primo a destra nella foto) lavora nell’ambito della disabilità e dell’autismo; Raffaella (che gli è accanto) lavora invece in una casa rifugio che accoglie donne vittime di violenza domestica. Nella foto sono insieme ai loro figli: Filippo che ha 16 anni e frequenta il terzo anno di un istituto tecnico con indirizzo grafico multimedia, e Sara, 18enne all'ultimo anno del liceo linguistico. Vivono a Tribulina, una frazione del Comune di Scanzorosciate, a pochi chilometri da Bergamo.

Una famiglia inserita nella vita parrocchiale e in quella più ampia dell’unità pastorale che comprende le ben cinque parrocchie. Fanno anche parte di un gruppo di Famiglie Nuove, del Movimento dei Focolari, dove hanno recentemente raccontato l'esperienza che stanno vivendo da ormai quasi un anno,  così bella che abbiamo chiesto loro di scriverla e condividerla attraverso FLest.




Sempre in cammino, tra domande e scelte


Pur avendo diversi impegni nella realtà in cui siamo inseriti, da qualche tempo ci stavamo interrogando su come la nostra vita famigliare potesse essere dono per gli altri. Avevamo la sensazione che nonostante la nostra presenza attiva in parrocchia e la nostra disponibilità a collaborare in diversi ambiti restassimo comunque sempre all’interno di quella che viene definita la zona di confort.

Un paio d’anni fa abbiamo cominciato ad interrogarci sulla possibilità di aderire ad alcuni progetti che le cooperative per le quali lavoriamo stavano cominciando a realizzare: spazi abitativi generativi, dove famiglie o singoli danno la disponibilità a vivere accanto a realtà di fragilità per essere di sostegno.

Ne abbiamo parlato anche con i nostri figli, ma abbiamo capito che per loro non era il momento. Per Filippo lasciare la realtà in cui viviamo ed i suoi amici sarebbe stato troppo faticoso.


Comunità al centro

Nello stesso periodo ha cominciato però a concretizzarsi, proprio sul territorio di Scanzorosciate, un progetto chiamato “Comunità al centro”. Si tratta di un progetto promosso da diversi attori: il comune di Scanzorosciate, le cooperative sociali AEPER e L’Impronta, l’Associazione di Promozione Sociale Sotto Alt(r)a Quota, l’Ufficio pastorale sociale e del lavoro della Diocesi di Bergamo, le parrocchie dell’unità pastorale di Scanzorosciate.

In concreto sono stati ristrutturati e riqualificati gli ambienti dell’ex oratorio e sala cinematografica di Scanzo unitamente alla torre medievale per poter accogliere una comunità per minori, creare due appartamenti per ragazzi con disabilità che intraprenderanno un percorso verso la vita adulta autonoma, uno spazio diurno per attività ludiche e di supporto nei compiti, uno spazio di caffetteria sociale per favorire momenti di aggregazione tra gli abitanti del paese, una pasticceria per dare opportunità lavorativa a persone con fragilità e tre appartamenti destinati ad altrettante famiglie del territorio che desiderano essere parte di questo progetto a sostegno delle realtà esistenti.

C’è poi un’area dell’edificio destinata alla promozione culturale del territorio dove verrà allestito il museo del vino. Le radici del paese verranno valorizzate e divulgate anche attraverso iniziative didattiche. Uno spazio polivalente verrà poi utilizzato per incontri di tipo culturale, formativo, laboratoriale.

La finalità del progetto è quella di non delegare la questione educativa, il disagio e la vulnerabilità a persone esperte e qualificate, ma di creare nella comunità stessa delle reti di cura e collaborazione in cui professionisti e abitanti del territorio possano insieme essere risorsa nell’ottica di generare una comunità educante. Si creerà anche una rete di famiglie che, non in forma residenziale, potrà sostenere il progetto attraverso azioni solidali.


Una vocazione, una chiamata

Sapevamo di questo progetto e diverse volte ci siamo riproposti di informarci per capire bene di cosa si trattasse, ma non lo abbiamo mai fatto.

All’inizio di quest’anno Raffaella riceve inaspettatamente la telefonata di una delle responsabili del progetto incaricata di sensibilizzare le famiglie del territorio. Aveva avuto il nostro numero di telefono da un amico sacerdote che aveva contribuito all’ideazione di questa realtà. Ci chiede di poter venire a parlare di “Comunità al centro” ad uno degli incontri del gruppo famiglie della nostra parrocchia di cui facciamo parte.

Comincia a insinuarsi il pensiero che è proprio strano essere stati contattati da chi avremmo voluto contattare noi senza mai farlo veramente…che la richiesta venisse da Qualcun Altro?

E così concordiamo la data: domenica 13 febbraio 2022. Questa persona presenta il progetto, racconta della possibilità di farne parte aderendo alla proposta di trasferirsi lì oppure di essere sostegno restando a vivere nelle nostre case. Mentre parlava dell’opzione del trasferimento poneva l’accento sull’importanza di mettere al centro prima di tutto la famiglia, le sue esigenze, quelle dei propri figli e, solo in un secondo momento, di aprirsi all’aiuto delle realtà di vulnerabilità che si sarebbero incontrate. 

Ci è molto piaciuta questa attenzione e sensibilità nei confronti di chi eventualmente avrebbe dato la sua disponibilità a vivere lì. Crediamo infatti che sia importante prima di tutto mantenere l’equilibrio in famiglia per non correre il rischio di non vedere chi ci è accanto per buttarsi all’esterno.

Al termine dell’incontro questa signora lancia una provocazione: “Provate a chiedervi: perché non noi? Se a questa domanda troverete delle risposte per impedimenti oggettivi allora la proposta non fa per voi, ma se non avete nessuna ragione che possa impedire il vostro sì forse siete le persone giuste”.


Dialogo in famiglia e una risposta: Perché non noi?

 La sera, rientrati dall’incontro, ne abbiamo parlato con i nostri figli e…non abbiamo trovato nessun motivo per dire di no! Sara è stata subito entusiasta della proposta, Filippo ha voluto essere certo che questa scelta non lo mettesse nella condizione di doversi prendere impegni senza essere interpellato. Una volta rassicurato sul fatto che le richieste di sostegno sarebbero state fatte a noi genitori e che lui avrebbe potuto dare disponibilità per qualche servizio solo dietro sua scelta si è detto d’accordo.

E così abbiamo dato la nostra disponibilità a trasferirci. Gli appartamenti sono stati ultimati con qualche ritardo a luglio. Abbiamo potuto vederli e scegliere quello che ci sembra più funzionale alla nostra famiglia. Ora deve essere arredato. Il trasferimento non sarà definitivo ma per un periodo di tempo che va dai 4 agli 8 anni, per permettere a più famiglie di fare questa esperienza e per dare la possibilità di lasciare il progetto nel caso in cui ci fossero difficoltà lungo il percorso.


Continuando a credere

L’unico vincolo che avrebbe potuto farci dire di no alla domanda “perché non noi?” è quello economico. Non possiamo infatti pagare l’affitto del nuovo appartamento se non riusciamo a vendere il nostro. E così abbiamo iniziato questa avventura affidandoci ad un’agenzia immobiliare… non avremmo mai pensato di lasciare la nostra casa. Adesso aspettiamo che le cose si compiano fidandoci della provvidenza