Ognuno è ciò di cui si cura. Il ricordo di Simone Mazzata ad un anno dalla morte. Un appassionato di umanità che parlava poco di Dio: si sforzava di testimoniarlo




Non era uno che ti parlava tanto di Dio, ma cercava di testimoniarlo in ciò che faceva, in come lo faceva”. Forse sono queste poche parole a contenere il ritratto più bello e più intimo di Simone Mazzata, morto esattamente un anno fa all’età di 54 anni dopo una lunga e dolorosa malattia.

Simone era nato a Desenzano, in provincia di Brescia; aveva poi vissuto a lungo in Franciacorta, cerniera geografica tra il Bresciano e la Bergamasca, ed era infine riuscito a coronare il suo sogno di vivere in una cascina, in piena campagna, trasferendosi a Castelvetro Piacentino, a ridosso di Cremona, per realizzare un progetto che gli stava particolarmente a cuore: una scuola per bambini fondata sul pensiero ecologico.

Giornalista, scrittore, anima della Fondazione Cogeme (fino all’arrivo della Lega nei posti chiave della società, che lo marginalizzò e lo costrinse ad andarsene), animatore culturale intelligente e aperto, Simone aveva stretto tantissimi rapporti lasciando un segno profondo di umanità, di competenza e di affetto.


Passione e impegno militante

Nelle tante testimonianze che hanno accompagnato i giorni della sua nascita al Cielo, il suo impegno per la tutela e la difesa dell’ambiente sono emersi con prepotenza. Ma è Mariapaola Perucchetti, che con Simone ha condiviso il formarsi a Brescia dell’esperienza dei Giovani per il Mondo Unito, espressione giovanile del Movimento dei Focolari, a ricordare quella che è stata probabilmente la prima scintilla di una sensibilità diventata nel tempo impegno militante.

“Dopo il Liceo io volevo studiare Teologia - racconta Mariapaola - ma gli ostacoli erano davvero tanti. Così decisi di iscrivermi alla Facoltà di Agraria: se non posso arrivare a Lui direttamente, studiando ‘la scienza delle cose di Dio’, dissi a Simone spiegando la mia scelta, ci arriverò attraverso il creato. Lui ne rimase molto colpito e cominciò ad approfondire le questioni ecologiche e il dovere della custodia del creato. Argomenti assai poco di moda allora e con assai poca presa”.

Simone è stato un Gen - acronimo che nel Movimento dei Focolari viene usato per indicare l’adesione delle giovani generazioni al Vangelo vissuto seguendo l’esperienza di Chiara Lubich - che non si accontentava delle parole, “voleva assolutamente incarnare e dare traduzione nella società alla scoperta di Dio Amore, della fraternità come regola di comportamento, della solidarietà come urgenza della professione di fede del cristiano".


Dal doposcuola alle serate con i senza fissa dimora

“Aveva una sensibilità particolarissima per l’umanità sofferente che stava attorno a noi - racconta ancora Mariapaola - ed io ricordo che la prima cosa in cui mi coinvolse fu un doposcuola per i bambini più problematici e più poveri, non solo materialmente, ma anche poveri di famiglia, poveri di affetto, poveri di speranza. Il suo desiderio, semplice e contagioso, era quello di voler bene.

Si deve a Simone la nascita di Giovani per un Mondo Unito nella nostra città. Eravamo solo in tre, lui, io e un’altra ragazza - ma si inventò di tutto per coinvolgere altri giovani come noi (a cominciare da una caccia al tesoro a squadre, in bicicletta, girando la città in lungo e in largo) e proporre poi esperienze da fare insieme (tra queste il servizio al dormitorio San Vincenzo per i senza fissa dimora).

Amava studiare, conoscere, approfondire. Era il suo modo precipuo per capire fenomeni e comportamenti sociali, per entrarvi dentro con quel di più di umanità di cui le relazioni interpersonali avevano e hanno straordinario bisogno".


Le persone sono più importanti delle strutture e dei ruoli

"Sapeva guardare alle persone con squisita delicatezza, andando al di là degli accidenti derivanti dalle rigidità delle strutture e dei ruoli in esse incardinati. Senza per questo venire meno all’ammonimento del Vangelo: ‘Il vostro parlare sia sì sì, no no’. Una scelta rigorosa e coerente - conclude Mariapaola - che ha mantenuto sempre, alla quale non ha derogato mai, nemmeno quando, rifiutando compromessi e aggiustamenti, ha perso il lavoro e si è dovuto professionalmente reinventare”.

Ripeteva volentieri, per spiegare il suo impegno ambientale e la sua passione educativa, che “ognuno è ciò di cui si cura”.

"Simone definiva sistemico il suo approccio alle cose e alla vita - ha scritto stamattina un’associazione che anche lui aveva contribuito a far nascere - perché sapeva molto bene che tutto si tiene, che in natura e nell’universo tutto è legato e tutto è connesso, e che la distinzione, molto umana, tra io e noi è in realtà la vera radice del male che impedisce all’uomo di conquistare un progresso che sia davvero tale, che riguardi cioè ’essere umano nella sua interezza, nella sua totalità. Un pensiero la cui attualità appare ogni giorno sempre più evidente".

g.c.