Un popolo che si rifiuta di morire. Il Congo e il suo futuro nella testimonianza di Ghislaine

Prima di fare rientro in Africa dopo avere partecipato a Roma ad un convegno internazionale, Ghislaine Kahambu Kambesa, co-responsabile del Movimento dei Focolari nella Repubblica Democratica del Congo, è stata a Brescia per alcuni incontri dedicati a SFERA.
Il Movimento dei Focolari è uno dei promotori di SFERA e partner locale importante per la realizzazione del progetto dell'associazione, a Kikwit, denominato Maison de Paix a Kikwit.
Ghislaine ha anche partecipato ad un incontro pubblico intitolato “Africa, germogli di futuro” promosso congiuntamente dal Movimento dei Focolari e da SFERA.


Riprendiamo dalla newsletter dell'associazione (QUI è possibile iscriversi) diversi passaggi dell'incontro resi redazionalmente in forma di intervista. In fondo al testo pubblichiamo anche un breve video in cui è sintetizzata l'esperienza del percorso formativo di cui ha parlato Ghislaine.


Nata nel Congo Est, figlia di un militare, quinta di dieci fratelli, Ghislaine ha sostanzialmente passato l’infanzia in una caserma (Non certo il massimo per l’educazione dei bambini – sottolinea con ironia - Eppure…). Vive a Kinshasa e lavora negli uffici per lo sviluppo dei progetti economici dell’Ambasciata del Belgio nella Repubblica Democratica del Congo .


Ghislaine, da dove si comincia a dire qualcosa del Congo?
Il mio è il Paese del superlativo: popolo grande, territorio immenso, povertà straordinaria, fiume enorme, foresta interminabile, miniere infinite.

E i contrasti sono ovviamente proporzionati
Decisamente. Quando un occidentale arriva da noi, dopo un po’ arriva la domanda inevitabile : Ma come si fa a vivere in queste contraddizioni? Si resiste. Un Vescovo ha detto che in Congo c’è un popolo che si rifiuta di morire. Ed è questo attaccamento alla vita che ci fa vedere tutto con un occhio più positivo.

Che non vuol dire, immagino, non riconoscere la realtà!
La situazione è complicata, lo sappiamo bene, anche per un atteggiamento che è conseguenza del sistema di sfruttamento di cui il paese è vittima e che ha alimentato una sorta di “cultura della mano tesa”: tutti chiedono, tutti si aspettano qualcosa .

Come a dire: siccome voi approfittate da sempre del mio paese, non potete non darmi ciò che chiedo.
Ed è questa “cultura”, chiamiamola cosi, che impedisce al mio paese di uscire dal circolo vizioso dell’assistenzialismo, anche se lo chiamiamo cooperazione allo sviluppo, perché quando si pretende di promuovere lo sviluppo dall’alto si finisce per immettere risorse dentro una macchina che ne trattiene per sé la massima parte.

Come se ne esce?
Noi non ci rassegniamo e vogliamo provare a cambiare questo sistema per consentire al paese di vivere senza dipendenze.

In che modo? Attraverso la politica?
Attraverso il cambiamento delle persone. Per cambiare il sistema abbiamo pensato di fare leva sullo spirito di comunione. La malattia del popolo congolese, infatti, è la mancanza di comunione, l’incapacità di fare le cose insieme, di volersi bene.

Concretamente…
Prima di tutto abbiamo pensato di mettere insieme i giovani, a prescindere dalle tribù di origine – in Congo ne abbiamo più di trecento – o dalle convinzioni politiche. E poi abbiamo aggregato professori di varie discipline, esponenti religiosi di diverse fedi e culture, strutturando un vero e proprio percorso di formazione. L’unico requisito richiesto era, è l’amore per il proprio Paese e il desiderio di cambiare una situazione non più sostenibile. E abbiamo fatto un’esperienza di vita insieme molto profonda, di comunione. Con il passaparola siamo riusciti a riunire 120 appassionati di futuro e una ventina di docenti, con i quali abbiamo pensato e vissuto insieme. Il 14 luglio abbiamo chiuso il primo anno e il bilancio che abbiamo stilato ci fa dire che sì, è possibile che il Congo possa cambiare, partendo dal basso, dalle radici di questo paese dei superlativi.

In altre parole avete fatto un master di cittadinanza attiva.
Possiamo dire anche così. Il titolo è Ecoforleaders, che dichiara apertamente l’obiettivo: formare persone in grado di farsi carico del bene comune del nostro paese. In questo modo pensiamo che piano piano possiamo incrinare il sistema di disunità, di guerra, di tribalismo, di corruzione che oggi regna nel nostro paese.

Come siete riusciti a far partire una scuola che poteva anche essere letta come una sfida allo stato attuale delle cose?
Solo per il fatto di esistere, la nostra scuola rappresentava un problema. Viviamo in un contesto politico e sociale pericolosamente instabile. Provate a pensare, con queste premesse, cosa avremmo potuto fare se ci fossimo messi a tavolino a calcolare i rischi a cui andavamo incontro. Se si vuol pianificare tutto, non si farà mai niente!

Avete corso dei rischi?
Tra gli iscritti alla scuola c’erano anche tre militari, entusiasti dell’esperienza che si stava vivendo. Grazie ai loro consigli abbiamo evitato tanti guai. Se c’erano situazioni per le quali era meglio non farsi trovare troppo in giro, ce lo facevano sapere e noi con whatsapp avvisavamo tutti. Ma sempre ci siamo preparati come se tutto dovesse filare liscio, pronti però a cambiare i programmi. In Congo è così per ogni cosa: dalla scuola ai matrimoni agli incontri. E diventa anche positivo, perché il rischio c’è, ma ogni difficoltà è affrontata con coraggio.

Ma noi, qui, cosa possiamo fare per esservi d’aiuto nella maniera giusta?
Io penso che prima di tutto sia necessario pregare per continuare a sentirci fratelli: quello che accade all’altro tocca anche me. Sentirci fratelli ci aiuterà a scalfire il sistema che organizza l’odio e le guerre, perché si tratta davvero di una organizzazione. E poi possiamo, insieme, pensare e realizzare progetti che nascano dal basso perché nel processo di cambiamento dei sistema abbiamo bisogno certamente di dare pane a chi ha fame, di dare istruzione ai i bambini che non hanno l’opportunità di andare a scuola.
Chi può deve sicuramente continuare ad aiutare concretamente l’Africa e sostenere questa volontà di cambiamento che rinnega tribalismo e corruzione. Attraverso SFERA diversi amici sono venuti in Congo e hanno condiviso la nostra realtà. La fratellanza ha bisogno di scambi di esperienze vitali.