Da Ghedi a Camaldoli per la pace. L'esperienza di Anita e Paolo

Abitare in un territorio che ospita da sempre una base militare e provare comunque a immaginare percorsi di sensibilizzazione al disarmo e alla pace per uscire da quello che sembra un destino ineluttabile.

Anita e Paolo Mazzini, coniugi di Ghedi, in provincia di Brescia, ci credono e ci provano. Prima di tutto studiando e riflettendo. Lo hanno fatto anche a fine luglio partecipando a Camaldoli ad un convegno-laboratorio promosso dal Gruppo Economia Disarmata del Movimento dei Focolari in Italia e coordinato da Carlo Cefaloni.

Nel loro Comune c'è una base militare in cui la presenza di armi atomiche non è mai stata smentita, ma è anche sede amministrativa della RWM, azienda tedesca che a Iglesias, in Sardegna, produce componenti per bombe. Eppure tutto sembra "normale". Come destare nuova consapevolezza sulla realtà? Ecco le riflessioni di Anita e Paolo.




Gli ideali non sono sogni: sono doveri

Molteplici i pensieri e le emozioni ripensando all’incontro di Camaldoli sulla pace e il disarmo, primo fra tutti un ringraziamento ai partecipanti, relatori e organizzatori, sia per il clima in cui si è svolto, sia per l’approfondimento culturale, sia per la presenza qualificata del variegato mondo del volontariato che opera per la pace.

Cambiare se stessi per promuovere processi di pace

Il richiamo ai maestri, ai pilastri del dopoguerra, da Giordani a La Pira, da Dossetti a Mazzolari, attuali ancora oggi per l’universalità della visione profetica e la certezza di un possibile mondo in pace: “Siamo condannati alla pace, se vogliamo sopravvivere, vista la potenza delle armi attuali, in grado di distruggere il mondo”.
La pace vista come un processo attivo e concreto, che comprende il cambiamento di sé e la costruzione di ponti fra le persone e le culture, i popoli e le nazioni, ognuno con la sua specificità. Costruire ponti e abbattere muri.
Sentirsi parte di un movimento che, sia pur apparentemente minoritario, di fatto sempre ha attraversato la storia, fra progressi e cadute orribili.


Una “rete” contro le speculazioni economico-politiche

E ora l’invito a incidere anche su una parte significativa della linfa della guerra, cioè sul guadagno derivante dalla produzione e vendita delle armi: la disponibilità di armi facilita la guerra, i guadagni del commercio delle stesse l’alimentano ulteriormente.
Da qui il movimento di opposizione alla produzione e commercio delle armi in Italia, il cui simbolo è diventata la RWM, multinazionale tedesca che produce in Sardegna le bombe usate in Yemen dall’Arabia saudita, commercio che avviene in spregio alla Costituzione Italiana che vieta la vendita di armi a paesi in guerra. Noncuranza e bizantinismi che ritroviamo anche nel permettere la permanenza nel territorio nazionale di bombe atomiche.
Altro significativo strumento di pressione, proprio per l’aspetto di speculazione sottostante la produzione del commercio di armi, riguarda i rapporti con le banche finanziatrici, le cosiddette banche armate.


Proposte e azioni concrete

Si è invitati a verificare se la propria banca finanzia la produzione di armi: in caso positivo si può far presente la propria opposizione, arrivando al trasferimento dei depositi ad altra banca.

Azioni concrete, che dicono l’attenzione ad aspetti della vita sociale e culturale troppo spesso lasciati alla retorica e alla disinformazione: compreso l’appoggio alla ricerca della verità sui processi farsa ai soldati nella prima guerra mondiale e sulla carneficina inutile che essa è stata.

Moltissimi gli stimoli, molti gli spazi di possibile impegno: ognuno nel suo piccolo, nel suo gruppo, può dare il suo contributo a questo percorso


Gli Ideali non sono sogni

E ci diciamo sicuri della certezza profetica delle parole di Paolo VI nell’udienza generale del 31 dicembre 1975: “E non avremo almeno sentimenti di pietà e di speranza per popolazioni intere, che ancora languiscono nella fame e nella miseria? E non proveremo un fremito almeno di sdegno e di paura per gli armamenti, che estendono i loro lucrosi mercati fra le nazioni, e per gli episodi tremendi di guerre civili, prodromi possibilmente fatali di ancora conflagrazioni? Sogniamo noi forse quando parliamo di civiltà dell’amore? No, non sogniamo. Gli ideali, se autentici, se umani, non sono sogni: sono doveri. Per noi cristiani, specialmente. Anzi tanto più essi si fanno urgenti e affascinanti, quanto più rumori di temporali turbano gli orizzonti della nostra storia. E sono energie, sono speranze”.

Anita e Paolo