Tiziano, un bagliore gigantesco. Mario Dal Bello (Città Nuova) magnifica il pittore veneziano e i suoi amici bresciani


Brescia è stata teatro da marzo a inizio luglio di una mostra straordinariamente bella. Era intitolata “Tiziano e la pittura del Cinquecento tra Venezia e Brescia”. Lui, il protagonista, è stato uno dei massimi esponenti della pittura del suo tempo, passando dal primato del disegno a quello del colore.

A pochi giorni dalla chiusura, avvenuta il primo luglio, Città Nuova online ha pubblicato sulla rassegna una recensione di Mario Dal Bello riassunta così nel sommario: “ Un oceano di carne e sangue, di vita pulsante, di fede ottimistica”.

Uno potrebbe chiedersi: com’è questa storia, si sono accorti in ritardo della mostra? non pensavano valesse la pena occuparsene?

Chissà! La spiegazione che l’autore fornisce nelle prime righe è comunque interessante: se è vero che arriviamo all’ultimo minuto (il riassunto è tutto nostro, ovviamente), “rimane altrettanto vero che diverse delle opere in mostra si possono raggiungere nei luoghi d’origine. In particolare il polittico della Resurrezione di Tiziano, nella chiesa bresciana dei santi Nazaro e Celso, attorno al quale ruota l’indagine sul rapporto tra Vecellio 
e la pittura bresciana del ’ 500. […]”



Tiziano e i suoi amici di Brescia


Certo, mancheranno le gigantografie in mostra, il video che permette di scoprire gli anfratti e i dettagli della tavola meravigliosa, gli azzurri e i rossi, le carni e i volti. Le sorprese non sono mancate: dal vescovo Averoldi, committente con la bocca aperta per lo stupore del Risorto, il Cristo come Laocoonte che misura grandiosamente lo spazio della notte che s’allontana, il luccichio delle corazze dei soldati, il notturno dell’Annunciazione, il corpo immenso di Sebastiano ferito.


Un oceano di carne e sangue, di vita pulsante, di fede ottimistica. È Tiziano nel 1522 nella sua splendida prima maturità, dove il sentimento è rosso fuoco, esplosivo, sicuro. Impossibile non risentirne la veemenza. Ecco allora Girolamo Romanino nel 1526 comporre un Risorto più prosaico e meno gigantesco su un orizzonte sanguigno a Capriolo (località della provincia di Brescia, ndr), Alessandro Bonvicino riproporre un Risorto visionario nella chiesa bresciana di San Clemente. Ecco il Savoldo far sue le luminescenze ardite di Tiziano nel Tobiolo alla romana Galleria Borghese nel 1525 e Calisto Piazza rimeditare sul San Sebastiano cadente nel martirio dei santi Gervasio e Protasio [sempre] a Capriolo.



Tiziano 
è un bagliore gigantesco (qui accanto un suo autoritratto), difficile sottrarsi. Così anche alla forza dei suoi ritratti, di cui in mostra si ammira il sublime – non trovo altre parole – Tommaso Mosti dalla Galleria Pitti di Firenze (nella foto in alto). Il velluto di quello sguardo giovanile, il volto chiaro incorniciato dalla barba curata, il morbido vestito grigio rendono palpitante l’immagine. È il fascino di una umanità sana, elegante, aristocratica.

Moretto allora propone un Savonarola che ci osserva, o un Gentiluomo sovrappensiero, Romanino un uomo che non ci guarda e Savoldo una signora affacciata alla finestra. Personaggi veri, colori densi: Tiziano è vicino. Venezia è vicina con Giovanni Bellini e Lotto, le Sacre Conversazioni di Palma in Vecchio e del Previtali, monti ariosi, colori succosi, fare largo. La gioia del colore e della luce aperta.



Ma poi i bresciani vireranno nella loro direzione, unendo realismo a colore sussurrato, talora morbido altre volte freddo, spazi ampi ma anche raccolti. Pittura di devozione e di realtà, arte che prelude a Caravaggio. Romanino inventa Madonne scontrosette, santi segaligni, Moretto dipinge un vangelo della gente, devoto ma vivo – cani gatti vivande osti –, Savoldo inventa Natività in notturni lunari. È un altro mondo, quello quotidiano, dove l’aristocrazia è della gente comune, del sentimento sincero, del lavoro. Un'altra meraviglia da scoprire. […].

Mario Dal Bello