Basta timori. La scuola "deve" educare. Michele De Beni e Ivo Lizzola: far emergere il buono che abita in ogni ragazzo

Cos'è che può fare di una scuola,  una “buona scuola”, anzi, una “scuola buona”? E quanto è importante mettere la persona dello studente al centro del progetto educativo? A questi e ad altri interrogativi ha voluto dare risposte l’incontro promosso venerdì scorso dalla Fondazione Opera Sant’Alessandro a Bergamo, che ha preso spunto dal libro di Samuel Casey Carter Quando la scuola educa (Città Nuova, 2016). In una sala gremita da insegnanti, educatori e genitori, Marta Locatelli e Lorena Fiorendi, con il coordinamento di Giovanna Ricuperati, hanno presentato alcuni progetti di innovazione didattica, mentre Michele De Beni e Ivo Lizzola hanno dialogato sul senso e sul tempo dell'educare.

I due pedagogisti, conosciuti e apprezzati da docenti e famiglie bergamasche, sono accomunati dalla passione per la ricerca e la valorizzazione del “buono” che abita in ogni ragazzo, e rispetto al libro presentato il primo è curatore dell’edizione italiana e il secondo ne ha scritto la postfazione.

Quand'è che la scuola educa?

La risposta di Ivo Lizzola è problematica: oggi nella scuola, quasi per timore ad educare, ci si concentra più sul favorire l’acquisizione di competenze che sul rendere i ragazzi responsabili; educare nella scuola oggi significa orientare gli alunni alla dimensione della ricerca, aiutarli ad alzare lo sguardo e renderli capaci di accogliere mondi lontani dal qui e ora.

Per De Beni la sfida educativa dell’oggi è sulle competenze morali, nell'aiutare i ragazzi a riconoscersi come persona. I tre protagonisti dell’educare (insegnanti, allievi, comunità) sono accomunati da un elemento, il “tra” che educa, che porta ad agire “con” e “per”.

L’invito è a sognare, a “guardare in alto, verso le stelle e non in basso, verso i piedi” (come ha detto l’astrofisico Hawking recentemente scomparso), a lasciarsi guidare dall'amore per i giovani, riconoscendoli innanzitutto come “persone”: una buona relazione (lo sottolineano anche le esperienze riportate in questo libro) è l’elemento fondante per migliorare gli apprendimenti.

Cosa significa avere successo oggi per una scuola?

Significa educare la persona alle “buone virtù”. Serve una scuola che si fa premura, che si prende cura, serve un’anima educativa capace anche di morire a sé per cercare il meglio per l’altro, capace di educare anche al rischio, per forgiare il carattere dei ragazzi.

L’atteggiamento del dare una cosa (da parte dell’insegnante) richiede contemporaneamente il dare se stesso; se non si mette in atto questa dinamica il rapporto diventa sterile, diversamente (ed è l’augurio) si valorizza e si arricchisce.

Il libro


Il testo, che raccoglie 12 esperienze eccellenti selezionate tra molteplici scuole degli Stati Uniti d’America, descrive come la comunità scolastica, vista nella sua profonda dinamica relazionale tra docenti-studenti-personale amministrativo e dirigente, rappresenti la vera risorsa formativa, capace di mettere intenzionalmente la persona e la formazione del carattere degli studenti al centro del proprio progetto educativo. Con semplicità ed efficacia si dimostra che se si insegna ai ragazzi ad esser “buoni”, si può anche imparare ad esser “grandi”, nel senso ampio e più autentico del termine, eccellenti nello studio, cittadini partecipi e onesti.



I protagonisti in dialogo

Michele De Beni, psicoterapeuta e pedagogista veronese, ha diretto vari progetti di ricerca e di formazione in ambito psicopedagogico, con particolare riguardo allo sviluppo delle strategie di pensiero, ai rapporti cognitività-affettività, al comportamento pro-sociale. E’ condirettore della collana “Fondamenti dell’educare-Percorsi dell’educare” dell’Editrice Città Nuova.

Ivo Lizzola è professore di Pedagogia sociale e di Pedagogia della marginalità e della devianza presso l’Università degli Studi di Bergamo. La sua ricerca e l’attività di consulenza e di formazione nei Servizi educativi e sociosanitari hanno riguardato lo sviluppo delle politiche sociali, con attenzione ai giovani e alle marginalità e, più recentemente, i temi della cura, delle vulnerabilità, della bioetica e più recentemente ha curato un gruppo di lavoro dell’università di Bergamo per seguire le classi scolastiche della Casa circondariale della città.