Sorridere alla vita e credere in se stessi. La coinvolgente testimonianza di Abdu, il figlio del venditore di accendini

Sarà in libreria la prima settimana di febbraio la terza ristampa de Il sogno di un venditore di accendini, il libro di Francesca Fialdini, edito da Città Nuova a fine 2016, che sta diventando un piccolo ma significativo caso editoriale. E’ la storia di Alì, arrivato in Italia nel 1988 dal Senegal “per cercare un futuro dignitoso per i suoi figli – ha scritto il Corriere della Sera recensendo il volume pochi mesi dopo la pubblicazione – e una vita migliore di quella passata a immaginarla. Si mise a vendere accendini per le vie di Milano, ogni tanto ne consumava qualcuno per scaldarsi le mani e mai ne ha offerto uno ai passanti senza un sorriso. Sono passati […] trent’anni. Oggi Alì vive a Casalpusterlengo, alle porte di Lodi, con la moglie e i suoi tre figli. E i sogni coltivati con fatica e tenacia hanno dato forse più frutti di quanti lui stesso ne aspettasse. La casa tanto desiderata, un lavoro da operaio per lui e uno da domestica per sua mogie. Stipendi modesti ma Alì se li è fatti bastare: ha risparmiato un centesimo dopo l’altro per l’istruzione dei suoi figli e adesso il suo primogenito Abdoulaye Mbodj, per tutti Abdou, è il primo avvocato africano del Foro di Milano, sua figlia è ingegnere civile e il terzo arrivato studia come perito agrario”.

E proprio Abdu – sorriso entusiasmante, una parlantina che conquista e una carica coinvolgente – è stato il protagonista sabato pomeriggio a Brescia di un incontro promosso da Roberta Morelli, assessore della Giunta municipale della città con delega alla scuola.

A parlare del libro e della storia della sua famiglia Abdu ci è ormai abituato: sono soprattutto le scuole che gli chiedono di incontrare gli studenti per parlare di immigrazione e lavoro, di dignità e di riscatto sociale.

Abdu chiede ai giovani italiani di non avere paura delle differenze, perché è nella diversità che c’è la ricchezza dei rapporti più autentici; ai ragazzi che vengono da famiglie immigrate riserva la sollecitazione a credere in se stessi e a rimboccarsi le maniche.

A volte nei rapporti dobbiamo vincere la sindrome di Calimero, ha detto nel corso dell’incontro di sabato, ma per gli immigrati di terza generazione è più dura perché i modelli diventano quelli occidentali e scompare la fame di riscatto che era stata la molla respirata dai padri e dai figli degli immigrati della generazione precedente, rischiando di rimanere stregati dal fenomeno calcistico di turno che porta a sognare una vita facile, senza fatiche e senza necessità di impegnarsi più di tanto.

“Ma nella vita vera – ha rimarcato Abdu – non arriva niente senza impegno e senza sacrificio”.

Cresciuto in ambiente cattolico, Abdu è rimasto musulmano, ma cita come esempi il Cardinal Martini e il Papa. Come Francesco, anche il giovane avvocato figlio del venditore di accendini, è convinto che le religioni devono costruire ponti fra loro per favorire un futuro di pace per tutti.

Nella certezza che, come dice un proverbio africano, "il sole non dimentica nessuno", Abdu ha testimoniato l’importanza d’avere una dimensione generativa della propria esistenza, consapevoli – ed è sempre la saggezza popolare a ricordarlo – che "nessun sentiero porta ad un albero senza frutti".