Sentirsi amati e scoprire l'effetto che fa. Quello che gli altri ti aiutano a scoprire di te può diventare realtà
Un pianoforte, un’adolescente con tante qualità ma in crisi di amicizia (e di autostima), il rap e il miracolo di quello che Chiara Lubich spiegava con l'atteggiamento del farsi uno.
E’ l’esperienza vissuta da Enrico. Con lo sguardo della psicologia sociale si potrebbe parlare di “effetto Pigmalione al contrario” (vale a dire in positivo: le aspettative possono condizionare in meglio la qualità delle relazioni interpersonali e il rendimento dei soggetti), mentre letto alla luce dell’insegnamento di Chiara potremmo chiamarlo semplicemente “effetto del sentirsi amati”.
“Farsi uno con gli altri – scriveva la fondatrice del Movimento dei Focolari – significa far propri i loro pesi, i loro pensieri, condividere le loro sofferenze, le loro gioie. […] Di fronte ad ogni prossimo dobbiamo saper dimenticare […] tutto quanto facciamo di bello e di grande e di utile ed esser pronti a farci uno con lui del tutto, a farci uno con la misura del saper morire per l’altro”.
Quello che gli altri ti aiutano a scoprire di te può diventare realtà
Avevo un pomeriggio con poco tempo per studiare al pianoforte alcune partiture e dovevo usarlo bene in vista degli impegni. Ma arriva Isabella, una ragazza quattordicenne piuttosto solitaria che frequenta l'oratorio dove ho il mio studio, e con la quale scambio di tanto in tanto due parole. L'accolgo con calore. Era inusuale che fosse venuta a trovarmi, rispettosa com'era, anche per la differenza di età.
Tra una musica e l'altra si parla un po'. Vengo a sapere che ha perso il papà da piccola (ha con sé delle foto che mi fa vedere) e che questa assenza aveva creato un grande vuoto in lei. Mi dice che in qualche occasione aveva tentato di raggiungerlo. Intuisco una grande sofferenza e ho come l'impressione che Gesù me l'abbia affidata. Mi parla di altre sue ferite, di come sia poco considerata dalle amiche, dagli insegnanti e - così mi pare di intuire - da sé stessa.
Ad un certo punto mi viene un'idea: "Ti piace il rap?" Mi risponde sorpresa di sì, che le piace anche cantarlo. Mi fa allora sentire le sue canzoni preferite. "Questa, mi dice, parla di me, della mia vita!". Proviamo a farla, mi accorgo che ha una bellissima voce e glielo dico, e poi una ottima pronuncia in inglese. Una ragazza con tante qualità. Ci ripromettiamo di rivederci la settimana dopo per imparare bene insieme quella canzone. Se ne va contenta.
Sono passati tre mesi da allora. Isabella è tornata a trovarmi qualche giorno fa. La vedo felice, mi corre incontro e mi da un grande abbraccio. Poi mi fa vedere il suo diario, dove ha scritto l'elenco delle sue migliori amiche: "Quindici? Ma quante sono!" "Sì, sono tutte amiche alle quali voglio un sacco di bene!". "Ma non mi avevi detto che non ne avevi? Oppure...?" "Eh sì, le cose sono cambiate!". "Hai visto che bisognava crederci, eh?" le dico con tono di complicità. È proprio vero che le persone possono diventare migliori se qualcuno le aiuta a scoprire ciò che loro, di loro stessi, non vedono. Si parla ancora, si ascoltano altre canzoni, poi arriva un mio allievo e dobbiamo salutarci.
Ci diamo appuntamento per il rap, che ancora non abbiamo provato. Chissà se lo faremo mai, ma mi sembra che ormai non sia nemmeno così importante.
E’ l’esperienza vissuta da Enrico. Con lo sguardo della psicologia sociale si potrebbe parlare di “effetto Pigmalione al contrario” (vale a dire in positivo: le aspettative possono condizionare in meglio la qualità delle relazioni interpersonali e il rendimento dei soggetti), mentre letto alla luce dell’insegnamento di Chiara potremmo chiamarlo semplicemente “effetto del sentirsi amati”.
“Farsi uno con gli altri – scriveva la fondatrice del Movimento dei Focolari – significa far propri i loro pesi, i loro pensieri, condividere le loro sofferenze, le loro gioie. […] Di fronte ad ogni prossimo dobbiamo saper dimenticare […] tutto quanto facciamo di bello e di grande e di utile ed esser pronti a farci uno con lui del tutto, a farci uno con la misura del saper morire per l’altro”.
Quello che gli altri ti aiutano a scoprire di te può diventare realtà
Avevo un pomeriggio con poco tempo per studiare al pianoforte alcune partiture e dovevo usarlo bene in vista degli impegni. Ma arriva Isabella, una ragazza quattordicenne piuttosto solitaria che frequenta l'oratorio dove ho il mio studio, e con la quale scambio di tanto in tanto due parole. L'accolgo con calore. Era inusuale che fosse venuta a trovarmi, rispettosa com'era, anche per la differenza di età.
Tra una musica e l'altra si parla un po'. Vengo a sapere che ha perso il papà da piccola (ha con sé delle foto che mi fa vedere) e che questa assenza aveva creato un grande vuoto in lei. Mi dice che in qualche occasione aveva tentato di raggiungerlo. Intuisco una grande sofferenza e ho come l'impressione che Gesù me l'abbia affidata. Mi parla di altre sue ferite, di come sia poco considerata dalle amiche, dagli insegnanti e - così mi pare di intuire - da sé stessa.
Ad un certo punto mi viene un'idea: "Ti piace il rap?" Mi risponde sorpresa di sì, che le piace anche cantarlo. Mi fa allora sentire le sue canzoni preferite. "Questa, mi dice, parla di me, della mia vita!". Proviamo a farla, mi accorgo che ha una bellissima voce e glielo dico, e poi una ottima pronuncia in inglese. Una ragazza con tante qualità. Ci ripromettiamo di rivederci la settimana dopo per imparare bene insieme quella canzone. Se ne va contenta.
Sono passati tre mesi da allora. Isabella è tornata a trovarmi qualche giorno fa. La vedo felice, mi corre incontro e mi da un grande abbraccio. Poi mi fa vedere il suo diario, dove ha scritto l'elenco delle sue migliori amiche: "Quindici? Ma quante sono!" "Sì, sono tutte amiche alle quali voglio un sacco di bene!". "Ma non mi avevi detto che non ne avevi? Oppure...?" "Eh sì, le cose sono cambiate!". "Hai visto che bisognava crederci, eh?" le dico con tono di complicità. È proprio vero che le persone possono diventare migliori se qualcuno le aiuta a scoprire ciò che loro, di loro stessi, non vedono. Si parla ancora, si ascoltano altre canzoni, poi arriva un mio allievo e dobbiamo salutarci.
Ci diamo appuntamento per il rap, che ancora non abbiamo provato. Chissà se lo faremo mai, ma mi sembra che ormai non sia nemmeno così importante.
Enrico