Marco Rossetti, from London! Radici bresciane, cuore nel mondo

Sono quattro anni che Marco Rossetti – originario di Manerbio, in provincia di Brescia – è responsabile del Focolare maschile a Londra. Prima era stato a Dublino, in Irlanda, dove ha vissuto per 16 anni. Nel rientro delle vacanze ha passato qualche giorno a casa; ne abbiamo approfittato per una lunga chiacchierata parlando di Brexit e di anglicanesimo, dell’attualità del carisma di Chiara Lubich e delle sfide peculiari che l’Opera da lei fondata ha di fronte in Gran Bretagna, della vocazione a vivere comunitariamente e in maniera totalizzante il Vangelo fino ai progetti per abbandonare la comoda poltrona (spiritualmente e umanamente parlando) in cui troppe volte sprofondiamo.




Marco, che odiava il calcio


Marco, iniziamo da qualche data, qualche numero.
Ho 47 anni e a marzo 2018 saranno giusto giusto 25 da quando è iniziata la mia storia di Focolare.


Mentre l’incontro con il Movimento dei Focolari risale a quando?

Ho conosciuto l’Ideale da bambino. Avrò avuto 8, 9 anni. Ero timido, parlavo poco, stavo comunque volentieri con gli amici in oratorio. Avevo però un problema enorme: non mi piaceva giocare a pallone. Uno dei miei coetanei si chiamava Diego e fu lui un giorno a chiedermi di andare insieme ad un incontro a Brescia, accompagnati dal curato, che era don Tino Bergamaschi. Mi trovai benissimo: nessuno mi chiese di giocare a calcio o si fece problemi per la mia timidezza. Dopo quel primo incontro ce ne furono altri e la prima cosa che imparai fu quella di aiutare gli altri, che dovevo fare qualcosa di più oltre al chierichetto, a dire le preghiere o stare all’oratorio. Mi ricordo che vidi un’anziana scendere con fatica da una scalinata del paese. Mi avvicinai e le chiesi se potevo aiutarla. Quando la lasciai, ero contento. Scoprii la relazione tra fare qualcosa per amore ed essere contento. Per cui, dissi tra me, se aveva funzionato con quella signora, avrebbe funzionato anche in casa. Cominciai ad aiutare la mamma, rifacevo il letto, mettevo in ordine le mie cose: lei era sconvolta, ma io ero contento. Partecipai poi ad una Mariapoli, a Bergamo, che fu una festa, un’avventura: eravamo 120 ragazzi e dormivamo in un campeggio. Era il periodo di Operazione Africa, pieno di cose che ci coinvolgevano completamente.


Eri lanciatissimo!
Mica tanto! Con l’adolescenza smisi di andare agli incontri. Ero preso da altre cose, dalla voglia di divertirmi come facevano tutti, di trovare conferme identitarie. Al Movimento dei Focolari non pensavo più. Stavo bene con i miei amici, si parlava di sport e di ragazze, di discoteca e di feste. Ma col passare del tempo sentivo che sì, era tutto bello e divertente, ma mi mancava l’orizzonte finale. Fu allora che uno dei giovani di Manerbio che era nel Movimento, Giovanni Carlotti, mise insieme un gruppo di quelli che passata la buriana adolescenziale avevano ancora voglia di mettersi a cercare ciò che mancava alla loro vita. Mi feci un po’ pregare, è vero, ma ripresi volentieri.


Quanti anni avevi?
Credo 16. Frequentavo la scuola infermieri che poi mi portò a lavorare nell’Ospedale di Manerbio.


Domande che costringono ad un reset della propria vita


Qual è l’avvenimento che in quel periodo ti segna maggiormente?
La morte di mio padre, in un incidente stradale: aveva solo 46 anni. Successe proprio quando stavo cercando di costruire con lui il rapporto che non avevo mai avuto: gli piaceva andare a pescare, io trovavo la cosa abbastanza noiosa ma pur di passare un po’ di tempo con lui ci andavo anch’io. La morte porta con sé disorientamento e un sacco di domande che costringono ad un reset della propria vita e delle proprie convinzioni. Però io sentivo attorno a me la vicinanza e il sostegno costante dei giovani con i quali avevo ripreso gli incontri. Credo di avere cominciato lì a coltivare i primi germi di vocazione. Ricordo che proprio in quei giorni qualcuno del Focolare mi chiese di prendermi a cuore dei giovani e di lavorare per loro. Alle mie obiezioni – “Ma proprio adesso che sono cosi a terra?” – la risposta fu che la cosa avrebbe aiutato anche me. E fu così per davvero! Lavorare per i giovani mi costrinse ad uscire da me, a non perdermi nel mio dolore.


Quei primi germi di vocazione com’è che fiorirono?

Dopo un po’ qualcuno in Focolare mi chiese se, per caso… non avessi mai pensato… che la mia strada…No, grazie!, risposi prontamente. Ma era ormai solo questione di tempo. Ricordo che in un successivo incontro ebbi chiara l’impressione d’essere arrivato ad una svolta. Nessuna voce o illuminazione speciale, intendiamoci, ma la certezza del cuore che Dio mi voleva lì, che quello era il posto in cui dovevo stare.


E da lì la strada fu in discesa?

Assolutamente no. A casa eravamo la mamma, io e mia sorella, e l’unica fonte di reddito veniva dal mio stipendio. Vi lascio immaginare i dubbi, le preoccupazioni! Ma più forte era il desiderio di rispondere ad una chiamata per me sempre più chiara. Quando dissi alla mamma cosa intendevo fare ricordo il suo smarrimento, ma io ero sicuro che Dio avrebbe provveduto. Di li a poco, infatti, mia sorella trovò lavoro e anche per la mamma si aprì l’occasione di un’occupazione.


Quali sono stati i passi successivi?

Lasciai il lavoro e a marzo del 1993 mi trasferii nel Focolare di Brescia per mettere in verifica ciò che sentivo, per capire se quella vita era proprio la mia vocazione. Nel settembre successivo partii per i due anni di formazione – il primo a Loppiano, il secondo a Montet, in Svizzera – al termine dei quali passai alcuni mesi a Grottaferrata, al centro dell’Opera. “In quale parte del mondo ti piacerebbe andare a lavorare?” mi chiesero i responsabili dei focolarini di allora. E io: “Sud del mondo, America Latina, anche Asia se occorre”. Dopo qualche giorno mi diedero la destinazione: Irlanda!


All’opposto di ciò che avevi chiesto!

Si va dove serve, giustamente.


Fraternità? Sì, d'accordo. Però adesso fammi vedere cos'è


Senti, parliamo della realtà in cui vivi attualmente. Che lavoro fai a Londra?

Sono nato infermiere, lavorativamente parlando, ma poi ho fatto studi di psicologia, ha preso un master di psicoterapia e oggi esercito in uno studio associato poco lontano dal Focolare. Lavoro anche per la Diocesi londinese facendo formazione per i formatori della Caritas impegnati con l’immigrazione e la fragilità sociale, i fronti più delicati e con maggiori ricadute psicologiche sulle persone che se ne occupano.


Com’è la comunità d’oltremanica del Movimento dei Focolari?

Per metà fatta da britannici e per metà da giovani che sono a Londra per periodi di studio o per dei master; per cui in questo 50% c’è un grande turn over. In una dimensione urbana cosi grande e dispersa come quella londinese la sfida è trovare il senso di comunità. Quella britannica è gente empirica, vuole capire. E’ come se tutte le volte che si parla di fraternità loro dicessero: “Sì, d’accordo. Adesso però fammi vedere cos’è”. Dal capire viene poi l’amore. E l’ideale cambia profondamente le persone. Quando si riesce ad andare oltre la soglia della riservatezza si scoprono britannici incredibilmente generosi, di cuore e di energie.


Immagino, date le dimensioni, che non sia facile fare proposte per incontri al largo!

I britannici amano incontri non troppo numerosi, i piccoli gruppi. E per invitarli costruiamo delle semplici occasioni, come la grigliata che facciamo la domenica nel giardino vicino casa: si sta insieme, si parla, si offre qualche esperienza, impariamo a conoscerci , iniziamo un’amicizia. Del resto in un contesto multiculturale e multietnico come quello londinese, così pieno di cose, di proposte e di opportunità, non si può pensare di stare ad aspettare che qualcuno venga da noi, dobbiamo noi proporci e farlo nella concretezza da cui deriva una comprensione piena del messaggio.


Pensando al Movimento dei Focolari in Gran Bretagna è inevitabile pensare al rapporto ecumenico con gli anglicani.

Purtroppo l’ecumenismo sembra essere passato di moda; tutti sono sbilanciati sul dialogo interreligioso. Ma non è la stessa cosa: il primo riguarda il dialogo tra cattolici e cristiani separati; il secondo tra cattolici e religioni non-cristiane. Oggi noi vediamo nel Movimento che il numero dei cattolici – che sono solo il 12% della popolazione – sta diventando maggiore di quello degli anglicani. Un segnale da considerare bene, perché vuol dire che non si incide nella maggioranza della popolazione. Senza dimenticare che qui l’Ideale è arrivato grazie e per gli anglicani.


Cosa bisogna fare, allora?

Alzarsi dalla seggiola comoda su cui siamo seduti e metterci in gioco. Tornare a riflettere costruttivamente sull’ecumenismo. Dobbiamo diventare visibili, essere generativi di speranza. In Europa c’è oggi una religiosità che si fa sottile, c’è una cultura europea che sta morendo. Noi siamo chiamati a testimoniare qui e oggi il carisma che Chiara Lubich ci ha fatto scoprire. Dobbiamo attualizzare il suo insegnamento, non accontentarci di ripetere ciò che lei ha fatto, ma in qualche modo ricominciare da zero, dandoci da fare, serenamente, creativamente. Siamo “movimento”, non binari!

















Marco (primo destra) e i componenti del Focolare di Londra