L’esperienza di Stefania, una mamma che si mette in gioco per creare rapporti socializzanti nella
classe della figlia, può divenire una proposta educativa per chi si appresta ad iniziare il nuovo
anno scolastico
Il paese è di quelli delle montagne bergamasche, nel quale ci si conosce un po’ tutti, dove è naturale quindi condividere la quotidianità della vita con tutti i pro e i contro immaginabili.
Classe 3° elementare: 17 maschi e 6 femmine tra cui mia figlia.
La composizione così poco equilibrata ha creato problemi di gestione e di rapporti fin dal primo anno.
NON È FACIE GESTIRE UNA CLASSE CON PROBLEMI DI BULLISMO
Durante le riunioni con i genitori emerge sempre che, per le insegnanti le bambine non creano mai problemi e, se anche fosse, non vengono mai rimproverate, mentre al centro delle discussioni è sempre il comportamento dei maschietti. Fra di essi, il gruppo dei bambini che frequentano la scuola-calcio fa da leader ed esclude e deride fino a maltrattare psicologicamente e fisicamente gli altri; così c’è chi si fa giustizia da solo, chi si ribella ai “bulli” della classe dando luogo a vere e proprie “guerre”; c’è infine che si isola e subisce le angherie in silenzio.
In tale classe per le insegnanti diventa difficile conciliare la vigilanza con il regolare svolgimento del programma.
SI CERCANO SOLUZIONI
Grazie alla rappresentante di classe, che si pende a cuore la situazione, inizia un percorso chiamato “Mi fido, mi affido”, promosso gratuitamente da una cooperativa di educatori della zona. Due ragazze, opportunamente preparate, incontrano i bambini per tre sabati consecutivi per poi promuovere un ultimo incontro con i genitori. Qui ci viene proposto di continuare il programma mettendoci in gioco e cioè invitando a casa propria altri bambini oppure di mandare il proprio figlio in casa altrui, perché insieme possano svolgere i compiti e costruire rapporti nuovi.
A questo punto tutti i genitori fanno un passo indietro perché non se la sentono e non si fidano di mandare il proprio figlio da altri: la paura di capitare nella “casa sbagliata” o, non potendo ricambiare, il sentirsi in debito verso la famiglia che ospita, hanno il sopravvento. La rappresentante di classe, inoltre, è oberata dagli impegni personali e non se la sente di farsi carico di questa proposta.
CI SI METTE IN GIOCO
Chiede a me di sostituirla e io do la mia disponibilità, pur essendo un poco dubbiosa sulla riuscita del progetto. Mi assumo comunque seriamente l’incarico. Del resto, mi dico: “Non mi sono impegnata forse ad essere costruttrice di unità nei luoghi in cui vivo?”.
Dopo aver chiamato personalmente ogni mamma cercando di convincerla a provare, quindici famiglie decidono di mettersi in gioco, ognuna con le proprie esigenze di orario e di giorni liberi e con i propri limiti; chi una volta alla settimana, chi ogni due settimane, chi per accogliere nella propria casa, chi per lasciare andare il proprio figlio in casa d’altri. Ho raccolto tutti questi particolari su vari post-it e il quadro della situazione appariva decisamente poco chiaro. Quando le insegnanti mi hanno chiamata, non sapevo da che parte incominciare ad aggiornarle, visto che la confusione era… alle stelle! Poi ho capito: dovevo “fidarmi e affidarmi” completamente io, per prima.
Inaspettatamente quel giorno le insegnanti mi hanno detto che, avendo già avuto molti problemi con i genitori nel passato, non se la sentivano di prendere loro un’iniziativa che comunque riguardava i genitori quindi… se avessi voluto continuare, sarei stata libera di decidere da sola sulle modalità della gestione della situazione.
Anziché lasciarmi prendere dal giudizio e dallo sconforto, mi sono concentrata chiedendo “luce” allo Spirito Santo e nel giro di poco tempo, sulla base delle adesioni e dei dati che avevo a disposizione, avevo pronto un progetto trimestrale. Restavano però esclusi alcuni bambini perché non avevamo forze sufficienti per poter coinvolgere tutti.
LA SCELTA
Questo mi addolorava e nello stesso tempo mi faceva capire che toccava a me fare ancora una volta il primo passo: ho invitato a casa mia questi bambini, dando vita così ad un “gruppo compiti”.
Ogni martedì sei bambini pranzavano da me, poi, insieme, facevano i compiti e studiavano. All'ora della merenda ci raggiungevano le mamme e così avevamo l’opportunità di parlare anche tra noi condividendo problemi famigliari o scolastici e favorendo così un clima di fiducia reciproca. Anche il mio figlio maggiore è stato coinvolto in questa esperienza intrattenendo nel gioco i bambini e, cosa straordinaria per lui, mettendo a disposizione i suoi amatissimi “mattoncini”. Il clima che man mano si respirava diveniva festoso e non sono mancati gesti di generosità da parte di chi veniva ospitato: una torta, un fiorellino, bibite e brioches fresche per tutti…
Certo che alla fine della giornata la casa era sottosopra ed io ero abbastanza “sconvolta”, ma ero felice perché rivedevo i volti e soprattutto gli occhi sorridenti e sereni di quei bambini che un poco alla volta avevano imparato a stare insieme e soprattutto a sapersi accogliere l’un l’altro.
Il paese è di quelli delle montagne bergamasche, nel quale ci si conosce un po’ tutti, dove è naturale quindi condividere la quotidianità della vita con tutti i pro e i contro immaginabili.
Classe 3° elementare: 17 maschi e 6 femmine tra cui mia figlia.
La composizione così poco equilibrata ha creato problemi di gestione e di rapporti fin dal primo anno.
NON È FACIE GESTIRE UNA CLASSE CON PROBLEMI DI BULLISMO
Durante le riunioni con i genitori emerge sempre che, per le insegnanti le bambine non creano mai problemi e, se anche fosse, non vengono mai rimproverate, mentre al centro delle discussioni è sempre il comportamento dei maschietti. Fra di essi, il gruppo dei bambini che frequentano la scuola-calcio fa da leader ed esclude e deride fino a maltrattare psicologicamente e fisicamente gli altri; così c’è chi si fa giustizia da solo, chi si ribella ai “bulli” della classe dando luogo a vere e proprie “guerre”; c’è infine che si isola e subisce le angherie in silenzio.
In tale classe per le insegnanti diventa difficile conciliare la vigilanza con il regolare svolgimento del programma.
SI CERCANO SOLUZIONI
Grazie alla rappresentante di classe, che si pende a cuore la situazione, inizia un percorso chiamato “Mi fido, mi affido”, promosso gratuitamente da una cooperativa di educatori della zona. Due ragazze, opportunamente preparate, incontrano i bambini per tre sabati consecutivi per poi promuovere un ultimo incontro con i genitori. Qui ci viene proposto di continuare il programma mettendoci in gioco e cioè invitando a casa propria altri bambini oppure di mandare il proprio figlio in casa altrui, perché insieme possano svolgere i compiti e costruire rapporti nuovi.
A questo punto tutti i genitori fanno un passo indietro perché non se la sentono e non si fidano di mandare il proprio figlio da altri: la paura di capitare nella “casa sbagliata” o, non potendo ricambiare, il sentirsi in debito verso la famiglia che ospita, hanno il sopravvento. La rappresentante di classe, inoltre, è oberata dagli impegni personali e non se la sente di farsi carico di questa proposta.
CI SI METTE IN GIOCO
Chiede a me di sostituirla e io do la mia disponibilità, pur essendo un poco dubbiosa sulla riuscita del progetto. Mi assumo comunque seriamente l’incarico. Del resto, mi dico: “Non mi sono impegnata forse ad essere costruttrice di unità nei luoghi in cui vivo?”.
Dopo aver chiamato personalmente ogni mamma cercando di convincerla a provare, quindici famiglie decidono di mettersi in gioco, ognuna con le proprie esigenze di orario e di giorni liberi e con i propri limiti; chi una volta alla settimana, chi ogni due settimane, chi per accogliere nella propria casa, chi per lasciare andare il proprio figlio in casa d’altri. Ho raccolto tutti questi particolari su vari post-it e il quadro della situazione appariva decisamente poco chiaro. Quando le insegnanti mi hanno chiamata, non sapevo da che parte incominciare ad aggiornarle, visto che la confusione era… alle stelle! Poi ho capito: dovevo “fidarmi e affidarmi” completamente io, per prima.
Inaspettatamente quel giorno le insegnanti mi hanno detto che, avendo già avuto molti problemi con i genitori nel passato, non se la sentivano di prendere loro un’iniziativa che comunque riguardava i genitori quindi… se avessi voluto continuare, sarei stata libera di decidere da sola sulle modalità della gestione della situazione.
Anziché lasciarmi prendere dal giudizio e dallo sconforto, mi sono concentrata chiedendo “luce” allo Spirito Santo e nel giro di poco tempo, sulla base delle adesioni e dei dati che avevo a disposizione, avevo pronto un progetto trimestrale. Restavano però esclusi alcuni bambini perché non avevamo forze sufficienti per poter coinvolgere tutti.
LA SCELTA
Questo mi addolorava e nello stesso tempo mi faceva capire che toccava a me fare ancora una volta il primo passo: ho invitato a casa mia questi bambini, dando vita così ad un “gruppo compiti”.
Ogni martedì sei bambini pranzavano da me, poi, insieme, facevano i compiti e studiavano. All'ora della merenda ci raggiungevano le mamme e così avevamo l’opportunità di parlare anche tra noi condividendo problemi famigliari o scolastici e favorendo così un clima di fiducia reciproca. Anche il mio figlio maggiore è stato coinvolto in questa esperienza intrattenendo nel gioco i bambini e, cosa straordinaria per lui, mettendo a disposizione i suoi amatissimi “mattoncini”. Il clima che man mano si respirava diveniva festoso e non sono mancati gesti di generosità da parte di chi veniva ospitato: una torta, un fiorellino, bibite e brioches fresche per tutti…
Certo che alla fine della giornata la casa era sottosopra ed io ero abbastanza “sconvolta”, ma ero felice perché rivedevo i volti e soprattutto gli occhi sorridenti e sereni di quei bambini che un poco alla volta avevano imparato a stare insieme e soprattutto a sapersi accogliere l’un l’altro.